Posto di fronte all’altare di S. Fortunato, questo altare fu voluto nel 1656 dal vescovo Pappacoda in onore di S. Giusto che in quell’anno protesse la città e la provincia di Lecce da una funesta epidemia che devastava il regno di Napoli. I lavori di realizzazione furono assegnati a Giuseppe Zimbalo al quale si attribuiscono anche le statue lapidee di S. Gennaro e di S. Fortunato ospitate dentro nicchie a conchiglia a sinistra e a destra della cappella.
Sul dossale dell’altare è collocata la tela raffigurante S. Giusto che converte S. Oronzo, opera nata dalla collaborazione tra il rinomato pittore Giovanni Andrea Coppola, autore del già citato dipinto di S. Oronzo nell’omonimo altare, e il giovane Antonio Verrio. Il dipinto si segnala per il rigore compositivo e per l’equilibrio di luci e colori, impostato com’è su due poli rappresentati dalla ieraticità del gesto di S. Giusto con l’indice puntato verso l’alto cui fanno da corona i tre volti alle sue spalle e i tre personaggi assorti ai suoi piedi e dalla tensione del movimento che coinvolge il possente cavallo bianco tenuto a freno dai tre personaggi attorno e da Oronzo sul cavallo stesso: il tutto ambientato in contesto di caccia richiamato dai due cani e dagli alberi d’alto fusto. Infatti, secondo la tradizione, Giusto, nel suo viaggio verso Roma come latore della lettera paolina, naufragò sulle coste di S. Cataldo dove fu soccorso dal nobile Oronzo che si trovava a caccia insieme al nipote Fortunato, ad altri giovani e alla servitù. Giusto, accolto il loro aiuto, si mise a convertirli alla fede in Gesù Cristo.
Affiancano la tela quattro colonne tortili ciascuna delle quali fondata su una base a parallelepipedo piuttosto tozza, dove si notano motivi floreali e una mitria con palme incrociate rispettivamente sulla faccia prospettica delle basi esterne e di quelle interne, poggianti a loro volta su alti basamenti con singolari teste d’angelo e zampe ferine.
Le colonne a spirale, che si sviluppano a senso invertito in ciascuna coppia, sono meritevoli d’attenzione per il loro fine intaglio con pampini e grappoli d’uva beccati da uccelli quelle esterne e fiori con foglie quelle interne, mentre all’esterno e tra le colonne corrono verticalmente analoghi motivi ornamentali. I capitelli, come al solito corinzi, presuppongono altre coppie di basamento con fregi su cui sporge la cornice aggettante. Su questa, in corrispondenza delle colonne, due piedistalli decorati con due coppie di angeli che reggono le scritte “Ave” “Maria” sostengono le statue di S. Barbara (a sinistra) e di S. Domenica (a destra) assistite a loro volta da due altre coppie di creature celesti. Al centro, un’edicola incastonata tra due colonnine a spirale e sormontata dalla croce, accoglie la statua di S. Michele che combatte contro Satana. Uno scudetto in alto alla cappella richiama il significato del nome dell’arcangelo nella sua traduzione latina: Quis ut Deus? (Chi come Dio?).