Vi si accede da una porta situata tra la cappella di S. Antonio e la cappella dell’Immacolata. La porta immette in un piccolo corridoio arricchito da un bel soffitto in pietra leccese intagliata. Sulla parete sinistra si può ammirare un affresco cinquecentesco recentemente ritrovato raffigurante una scena di crocifissione con la Vergine Addolorata e S. Giovanni.
Attraverso una seconda porta si entra nella Sagrestia la quale si presenta molto spaziosa e coperta da una bella volta in pietra lunettata e costolonata. Sulla parte sinistra si nota l’epigrafe policroma per ricordare un accordo intrapreso tra il vescovo Sozj Carafa e i Cappuccini, mentre lungo le altre pareti sono disposti i ritratti dei vescovi di Lecce da Mons. Pappacoda fino a Mons. Ruppi. Vi è inoltre un grande armadio di legno sormontato dai busti in cartapesta dei santi Oronzo, Giusto e Fortunato in cui sono custodite le reliquie di vari santi.
In un piccolo ambiente contiguo alla Sagrestia è ubicata la Sala del Tesoro, inaccessibile al pubblico, realizzata nel 1772 dal vescovo Sozj Carafa. Essa è ormai quasi priva dei numerosi argenti che il vescovo aveva raccolto in quel locale, come rileva l’epigrafe collocata dal Capitolo, poiché in parte rubati e requisiti nel corso dei secoli ed in parte trasferiti al Museo Diocesano.
Sempre nelle adiacenze della Sagrestia si trova la Sala del Capitolo (di cui vi è un bello stemma in legno dorato e dipinto), un tempo Cappella di S. Francesco di Sales. Di questa chiesetta, costruita nel 1788 a spese e come sede per la Congregazione delle Missioni Apostoliche o dei Padri Salesiani o dei Preti Pietosi, non rimangono che i bei pilastri in pietra arricchiti da festoni di foglie, le volte a stella e la pala d’altare, attribuita al Tiso, con L’apparizione della Vergine a S. Francesco di Sales inserita in una ricca cornice di pietra e la cornice dell’epigrafe ormai cancellata. Vi si possono poi ammirare altre cinque tele: L’adultera perdonata, La liberazione di S. Pietro dal carcere, S. Francesco di Sales, La Madonna di Pompei e S. Oronzo. Le prime tre tele vengono anch’esse attribuite al pennello del Tiso, la quarta è un piccolo quadro votivo di datazione incerta e l’ultima risale forse al XVI secolo.
Strettamente unita alla Cattedrale, si trova la dimora del Vescovo. Più volte rimaneggiata nel corso dei secoli, dotata di una foresteria nel 1649, ha assunto il suo odierno aspetto nella seconda metà del Settecento, quando il vescovo Sozj Carafa affidò ad Emanuele Manieri i lavori di ammodernamento che consistettero nella sostituzione della scala esterna a doppia rampa convergente realizzata nel 1632 con la scala interna snodata in una duplice rampa divergente (1758) e nell’aggiunta della loggetta centrale su cui fu collocato un orologio realizzato dal maestro leccese Domenico Panico (1761).