Un altro grande arco, come quello prima del transetto, segna l’inizio del presbiterio. È ornato, dorato e sormontato dal busto dell’Assunta con il versetto Assumpta est Maria in Coelum gaudent Angeli (Maria è assunta in cielo si rallegrano gli angeli), mentre sull’architrave si legge l’incipit dell’inno eucaristico O salutaris Hostia (O Ostia che dai salvezza).
La vasta profondità del presbiterio non disattende l’imponenza generale dell’edificio, come l’analogia delle strutture lo integra perfettamente nell’insieme.
Paraste scanalate e dorate scandiscono gli spazi occupati da numerose tele:
nella parete di fondo, sotto la cornice da cui pendono frontalmente gli stemmi del vescovo Pappacoda (al centro), del Capitolo (a sinistra) e della Città (a destra), la grande tela dell’Assunta di Oronzo Tiso, collocata l’11 agosto 1757 in sostituzione di quella dipinta dal Catalano per incarico del vescovo Spina, ora esposta al Museo Diocesano, ai lati gli ovali con S. Pietro (a destra) e S. Paolo (a sinistra);
nella pareti laterali, due altre gigantesche tele del Tiso con il Sacrificio di Noè dopo il diluvio (a sinistra) e la Sfida del profeta Elia ai sacerdoti di Baal (a destra), collocate il 12 dicembre del 1758 e ai lati rispettivamente gli ovali con S. Giovanni e S. Luca, S. Marco e S. Matteo;
sopra la cornice, oltre alle tre grandi finestre con artistiche vetrate (raffiguranti in senso orario S. Giovanni Battista, Cristo Re e S. Giuseppe), le tele centinate dei profeti Isaia, Ezechiele, Daniele, Osea, Zaccaria e Malachia, opere di imprecisati anni del XVIII secolo recentemente attribuite, al pari degli ovali, ad Aniello Letizia.
Completano questa galleria di dipinti le tele del soffitto ligneo, opera di Carlo Rosa e della sua bottega (la tela centrale più grande è siglata CR), interamente dedicate alla Vergine: in quelle rettangolari sono proposti alcuni episodi della vita di Maria (Nascita di Maria, Presentazione di Maria al Tempio, Visita di Maria a S. Elisabetta, Presentazione di Gesù al Tempio, Assunzione), in quelle ottagonali agli angoli alcuni tradizionali titoli mariani (Turris eburnea, Turris davidica, Ianua Caeli, Speculum Iustitiae).
Fa da pendant al soffitto ligneo, il coro in noce che cinge il presbiterio. Risalente al 1759, fu eseguito forse su disegni di Emanuele Manieri e costò 700 ducati ricavati da fondi legati dal vescovo Fabrizio Pignatelli.
Sul fondo del presbiterio si staglia la superba mole in policromo commesso marmoreo, incrostata di lapislazzuli e bronzi dorati, dell’altare maggiore che, insieme con la balaustra, fu posta in opera nel 1757 dal marmoraro napoletano Gennaro De Martino, con cui il vescovo Sozj Carafa aveva stipulato tre anni prima una convenzione, per disposizione testamentaria del suo predecessore Scipione Sersale, al quale già nel 1756 il fratello aveva innalzato sulla porta della sagrestia un monumento marmoreo. Al De Martino, cui furono commissionati anche i due angeli adulti capoaltare rappresentati in ginocchio su di un elegante cuscino secondo la moda in voga nei monumenti funebri, furono pagati ben 1700 ducati.
L’altare, originariamente impostato sotto l’arco e provvisto di croce e candelieri in bronzo che, realizzati sempre per disposizione testamentaria di Sersale, vengono nelle solennità sostituiti dalla grande croce d’argento lasciata in legato dal vescovo Giuseppe M. Ruffo (1735-1744) e dai candelieri ottocenteschi con l’aggiunta di dieci frasche, fu consacrato il 29 maggio 1757, mentre il 6 novembre, prima domenica del mese, venne riconsacrata la Cattedrale per paura che nella nuova fabbrica fatta realizzare dal Pappacoda si fosse usciti dai primi fondamenti. Una lapide collocata sulla parete sinistra del vano d’ingresso della facciata secondaria ricorda questa solenne consacrazione.
Per le rinnovate esigenze liturgiche, davanti a questo antico e solenne altare nel 1970 fu collocato uno nuovo altare, ottenuto da una policroma tarsia napoletana del XVIII secolo smontata dall’altare della Natività, di cui era il paliotto. Inoltre, fu sistemata la cattedra episcopale sulla sinistra e furono realizzati i due amboni, su progetto di Cesare Sarno, adoperando le basi delle settecentesche statuette dell’Arcangelo Michele e di S. Sebastiano un tempo collocate nelle pareti laterali della cappella del Crocifisso e poi rubate. Opere queste volute da Mons. Minerva che, per trent’anni pastore della Chiesa di Lecce, il 20 ottobre 1980 fu promosso arcivescovo metropolita.
Complessivamente il presbiterio si presenta ai nostri occhi nella sua compiuta armonia per le ricercate simmetrie e corrispondenze.